Vedi Napoli e poi … i misteri del Principe di Sansevero
Nel cuore del Centro Storico in via De Sanctis 19 si trova uno dei posti più visitati a Napoli, la Cappella di Sansevero, la chiesa sconsacrata dei Principi Sansevero, detta anche Pietatella.
La trovate in un vicolo stretto vicino a Piazza San Domenico Maggiore, a pochi passi dall’Università L’orientale, e negli orari di apertura fuori si sente il vociare dei turisti che fremono per entrare.
Il motivo principale della visita è il Cristo Velato, la spettacolare statua del Sanmartino, il cui velo è talmente perfetto da sembrare di seta.
I visitatori stupefatti, vittime della Sindrome di Stendhal, rimangono a fissarlo senza accorgersi del resto, sono vittime della magia che suscita e spesso escono senza accorgersi di quanti altri gioielli hanno perso. Ogni opera e particolare in questa Cappella cela altro da ciò che si vede: simboli ermetici ed esoterici che trasformano questa chiesa barocca in vero tempio massonico.
Noi ci troviamo qui per vedere le macchine anatomiche, quindi per dirla tutta anche noi siamo avvolti dal velo dell’ignoranza, spinti esclusivamente dalla curiosità di vedere questi orribili scheletri attraversati dal sistema cardio-circolatorio a vista (di cui abbiamo sentito parlare come di moderni Frankenstein) ma quando ci troviamo nella “stanza degli orrori” siamo ossessionati dall’ansia di sapere tutto del “medico, mago o stregone” capace di commissionare un esperimento così macabro.
IL PRINCIPE RAIMONDO DI SANGRO E I MISTERI DI VIA DE SANCTIS 19
Il Principe Raimondo di Sangro era, per dirla con le parole di Benedetto Croce, “[…] l’incarnazione napoletana del dottor Faust o del mago salernitano Pietro Barliario, che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura o compiere cose che sforzano le leggi della natura?”.
Sul settimo principe di Sansevero nella Napoli di fine ‘700 correvano le voci più incredibili, dal popolino era soprannominato ‘O’ principe riavulo’ e ancora oggi qualche anziano, passando sotto il suo palazzo, si fa il segno della croce.
Se vogliamo tentare di capirci qualcosa dobbiamo partire proprio da Palazzo di Sansevero, al civico n°9, e dalla macabra storia di cui fu teatro.
La storia che si tramanda da generazioni racconta che nella notte del 18 ottobre del 1590 avvenne a palazzo un efferato delitto d’onore. Maria D’Avalos e il suo amante, il duca D’Andria Fabrizio Carafa, vennero uccisi dal marito di lei Carlo Gesualdo, principe di Venosa che, accecato dall’odio, fece esporre per 7 giorni i corpi dei due amanti nudi e insanguinati sullo scalone di accesso del palazzo. Dopo il pubblico ludibrio, scemate le persone, il sequel del racconto è ancora più atroce con l’oltraggio di un monaco domenicano infilatosi a palazzo a tarda notte per violare il corpo esanime di Maria. In un altra versione si dice addirittura che Carlo Gesualdo abbia fatto murare i corpi nella stanza che era stato teatro del tradimento. Quello che sappiamo è che la tragedia si concluse solo per mano dello stesso principe di Venosa che per proteggersi dalla vendetta dei Carafa, si rifugiò nel Castello di Gesualdo facendo uccidere per gelosia anche il figlio, morendo travolto dai sensi di colpa.
Nel 1613 Paolo di Sangro, duca di Torremaggiore, acquistò il Palazzo cominciandolo a modificare e facendo costruire nel giardino l’attuale Pietatella che avrebbe dovuto fungere da cappella di famiglia.
Le storie nefaste del passato e le inquietanti voci di una maledizione che si sarebbe abbattuta per 7 generazioni sugli abitanti del palazzo spinsero, nel 1735, il principe Raimondo di Sangro a ristrutturare e rivoluzionare in stile barocco l’intero palazzo e la cappella.
La maledizione del palazzo però sopravvisse al Principe: il 28 settembre del 1889 un’infiltrazione d’acqua fece crollare un’intera ala del palazzo, e da allora si narra che il fantasma della bellissima Maria vaghi ogni notte per le buie strade di piazza San Domenico Maggiore emettendo talvolta un lungo grido straziante, talvolta un soffocato lamento che fa rabbrividire chi ha la sventura di ascoltarlo.
I SIMBOLI MASSONICI NELLA CAPPELLA DI SANSEVERO
Una fitta rete di storie e documenti ci aiutano nell’interpretazione di tutta la simbologia che si cela dietro ogni scultura della Cappella che Raimondo di Sangro, Gran Maestro della Gran Loggia nazionale di Napoli per un breve periodo, trasformò in testamento di tutte le celebri imprese di famiglia e di tutti gli insegnamenti massonici di cui era custode.
Il pavimento labirintico
La pavimentazione originale della Cappella voluta da Raimondo di Sangro, prima del grave crollo del 1889 che colpi il palazzo e la relativa cappella, era completamente diversa da quella che vediamo oggi. Alcune lastre del pavimento sono visibili solo nel passetto antistante la tomba di Raimondo di Sangro. Il disegno prevede l’alternarsi di croci gammate (o svastiche), formate da una linea continua di marmo bianco, con quadrati concentrici in prospettiva. La croce gammata simboleggia il movimento cosmico, i quadrati concentrici il tetragono degli elementi, che per gli alchimisti sono l’immagine alchemica della Grande Opera.
La simbologia ermetica del labirinto rimanda quindi al percorso tortuoso che deve compiere l’iniziato per raggiungere la conoscenza, nel quale la realtà non è mai tutta bianca o tutta nera e il bene ha bisogno del male per essere riconosciuto ed apprezzato.
Monumento a Cecco di Sangro
A mettere in guardia il visitatore dall’ingresso principale della Cappella c’è Cecco di Sangro, l’illustre antenato del Principe, comandante agli ordini di Filippo II, immortalato nell’atto di uscir fuori da una cassa nella quale era rimasto nascosto per due giorni, stratagemma grazie al quale riuscì a farsi beffe del nemico, impadronendosi della rocca di Amiens. I due grifoni che affiancano la statua simboleggiano cura e sorveglianza, mentre l’aquila che stringe tra gli artigli un fascio di folgori è il simbolo della virtù guerriera.
Cecco, Il guerriero che brandisce la spada, è stato identificandolo sia come il “Copritore Interno” che come “Copritore Esterno”, nella sua funzione di “guardiano“, simbolo dello Spirito Metallico che esce da una cassa che rappresenta l’Athanor, nella quale è avvenuta la morte e resurrezione delle due nature, l’inizio e la conclusione della Grande Opera Alchemica nella quale l’aquila rappresenta la parte volatile che si è staccata dalla parte fissa, indicata in questo caso dalla pelle di leone; il grifone simboleggia l’unione delle due parti, fissa e volatile.
Il guardiano del Tempio massonico riporta anche ad una delle più suggestive leggende riguardanti il Principe. Secondo Benedetto Croce, in prossimità della morte, Raimondo di Sangro si fece tagliare a pezzi da uno schiavo e rinchiudere in una bara, da cui sarebbe dovuto uscire “integro e vivo” al tempo stabilito; ma la famiglia scoperchiò la bara prima del termine previsto, e la “risurrezione” durò solo il tempo di mettersi in piedi per poi stramazzare al suolo in un urlo dannato … il corpo non aveva finito il magico processo di ricomposizione da lui accuratamente calcolato.
I Sorveglianti
Accanto al guardiano ci sono solitamente due sorveglianti, La Liberalità, che corrisponde alla Colonna del Nord “Boaz” (la Forza) e Decoro che corrisponde alla Colonna del Sud “Jakin” (la Bellezza).
La Liberalità raffigura un figura femminile, coperta da un bellissimo drappeggio in marmo, che tiene nella mano sinistra una cornucopia da cui fuoriescono gioielli e, nella mano destra, delle monete e un compasso, simboli di generosità ed equilibrio. A suoi piedi, l’aquila, simbolo di forza e temperanza e alle sue spalle una piramide che rappresenterebbe la gloria dei principi.
Secondo la simbologia massonica il primo Sorvegliante ha il compito di istruire i Compagni d’Arte e di pagare gli operai. Il compasso è il simbolo della Misura Aurea, l’obolo rappresenta l’Oro dell’opera raggiunta, simboli per l’alchimista di peso e misura. L’aquila, simbolo dei più alti gradi di conoscenza muratoria, è a terra, come simbolo dell’avvenuta sublimazione dove la materia è finalmente purificata e fissata. La cornucopia simboleggia la ricchezza spirituale che il massone acquisisce nella fratellanza ma anche il contributo materiale che i confratelli devono dare all’associazione per compiere opere di bene.
Decoro raffigura un giovanotto androgino semicoperto da una pelle di leone che si appoggia a una colonna con una testa di leone dove c’è scritto “Sic Florent Decoro Decus“, “Così la bellezza rifulge per decoro”, simbolo della virtù delle donne, della vittoria dello spirito sulla natura animale.
Il particolare più interessante è che Decoro indossa due calzature diverse, un sandalo allacciato e uno zoccolo, l’abbigliamento del neofita che quando deve essere iniziato alla Massoneria entra nel tempio con un piede scalzato.
In altre due interpretazioni si legge che le calzature diverse simboleggiano la metafora degli dei del mondo sotterraneo e degli dei celesti, lo zoccolo simboleggia la natura grezza della materia e il coturno, la calzatura degli eroi (identifica la materia in una fase più nobile).
Sincerità e Soavità Coniugale
Proseguendo alla scoperta dei simboli del tempio agli appassionati di esoterismo non può sfuggire il Caduceo di Mercurio nella mano destra di una statua, La Sincerità, che insieme ad un’altra statua, La Soavità del giogo coniugale, rappresentano due momenti del percorso massonico, la Sincerità, la pietra grezza, e la Soavità del giogo Coniugale, la pietra che comincia a prendere forma e levigarsi.
Le due statue sono anche un importante simbolo dell’opera alchemica. Nella Sincerità il cuore rappresenta un simbolo sulfureo, purificato, protetto da due colombe, una verso l’alto (il volatile) e l’altra verso il basso (il fisso) a simboleggiare la materia che viene dissolta e purificata.
Il Caduceo di Mercurio simboleggia, attraverso i due serpenti che si intrecciano, le due nature che combattono nel vaso e soltanto l’Oro Filosofico, rappresentato dalla Verga Centrale, può pacificare e unire il fisso e il volatile.
Solo nella Soavità del gioco Coniugale avviene l’unione delle due nature, alla soluzione è seguita la coagulazione. I simboli di questo passaggio di stato sono la colomba, rimasta unica, e le sue piume, simbolo dell’aria, insieme ai due cuori mostrati uniti in una mano.
Lo Zelo della Religione e il Dominio di Se Stessi
Ne Lo Zelo della religione il protagonista è un vecchio saggio che porta in una mano la lanterna simbolo della luce della Verità e nell’altra una sferza per punire il sacrilegio, mentre con il piede calpesta un libro da cui fuoriescono le serpi dell’eresia contro cui si accanisce anche il putto con la fiaccola.
Dietro l’interpretazione ufficiale se ne cela una massonica dove il vecchio rappresenta l’alchimista che esegue la cottura della materia, rappresentata nel medaglione sorretto dai putti in cui si vede il profilo di due donne che simboleggiano i due elementi della Materia Prima, quella Femminile Mercuriale e Antimoniale.
L’alchimista schiaccia con un piede Il libro chiuso, simbolo della materia ancora impura, i serpenti che fuoriescono dal libro e mordono la gamba del putto, simboleggiano il solvente che insieme al calore, rappresentato dalla fiaccola, rendono pura la materia andata in soluzione.
Ne Il Dominio di Se Stessi, alla materia prima Femminile Mercuriale e Antimoniale de Lo Zelo della Religione si contrappone la natura marziale sulfurea e Maschile/Guerresca e Ferrosa.
Qui un guerriero romano tiene alla catena un leone, come simbolo che l’intelletto e la volontà prevalgono sull’istinto e sulla natura selvaggia. Il medaglione, secondo la simbologia, rappresenta l’Athanor, il forno alchemico dove avviene la trasmutazione.
La Pudicizia e Il Disinganno
Arrivati in prossimità dell’altare ci troviamo di fronte all’omaggio di Raimondo di Sangro ai suoi genitori, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, morta prima che il principe compisse un anno, e Antonio di Sangro, duca di Torremaggiore.
La madre, La Pudicizia, viene raffigurata come una fanciulla coperta da un delicatissimo velo trasparente talmente aderente al corpo da sembrare inumidito dai vapori provenienti dal bruciaprofumi. Lo sguardo è perso nel tempo, l’albero della vita e la lapide spezzata che riporta all’episodio evangelico del “Noli me Tangere”, (espressione pronunciata da Gesù la mattina dopo la resurrezione a Maria Maddalena), simboleggiano il dolore provato da Raimondo per la perdita prematura del contatto umano con la madre.
Le interpretazioni massoniche si rivelano ancora più suggestive: la donna coperta dal velo sarebbe un’allusione ad Iside, grande maga e dea dell’oltretomba, simbolo di fecondità e protezione materna, la dea prediletta dalla scienza iniziatica. Sembra infatti che 1700 anni prima, proprio in questo sito si ergesse la statua di Iside della Neapolis greca.
La Pudicizia, è anche allegoria della sapienza, la donna velata nasconde una profonda conoscenza che non può essere svelata a chi non sa gestirla perché potrebbe essere molto pericolosa.
Il velo ci permette di intravedere che sotto la superficie della Materia Prima dei Filosofi, si nasconde il frutto prezioso, la Sophia, la Sapienza che va purificata come la Maddalena, prima di potersi ricongiungere con il suo sposo spirituale, rappresentato dal Cristo risorto.
La lapide spezzata allude alla necessità di dover rompere-spaccare la Materia Prima prima di iniziare la lavorazione ed estrarre da questa l’Umido Radicale (la rugiada celeste, il “pane celeste”, che scende come sangue sacrificale dalla ferita della mano di Dio, nutrendo la terra come la manna).
La quercia che viene fuori dalla pietra, infine, è da alcuni ritenuta allusione all’arbor philosophica degli alchimisti, fonte di vita e di protezione, luogo dove avvengono la trasformazione e il rinnovamento. L’albero è di natura femminile e materna, è l’albero della saggezza e della conoscenza, simbolo della totalità del Se.
Il padre, Il Disinganno, simboleggia un uomo che si libera dalla rete del peccato. Dopo la perdita della moglie infatti Antonio di Sangro viaggiò per tutta Europa perdendosi in una vita dissoluta che si concluse solo in vecchiaia quando decise di tornare a Napoli ritirandosi a vita sacerdotale.
Un genietto, con in fronte una piccola fiamma che rappresenta l’intelletto, aiuta l’uomo a liberarsi dalla rete intricata dei peccati mentre gli indica il globo terrestre, simbolo delle passioni mondane. A rappresentare la conversione c’è anche la Bibbia, appoggiata al globo e un bassorilievo sul basamento che racconta l’episodio di Gesù che dona la vista al cieco.
L’interpretazione in chiave massonica ci riporta alla domanda che veniva posta all’iniziato su chi fosse, la cui risposta rituale doveva essere: “sono un cadavere che vuole risorgere, un cieco che chiede la luce.” La scena del genietto ci suggerisce il momento in cui il Maestro Venerando mostra la retta via al neofito che si libera delle false verità.
IL CRISTO VELATO
Nonostante la meraviglia che si prova di fronte alla rete del Disinganno, talmente incredibile da sembrare una rete autentica successivamente pietrificata, un autentico stupore si prova al cospetto del Cristo Velato.
Il Cristo giace come addormentato su due cuscini con ai propri piedi i simboli dell’avvenuta crocifissione, la corona di spine, una tenaglia chiusa e i chiodi. Il volto e il corpo vengono alla luce attraverso un trasparentissimo velo di marmo che porta in rilievo tutti i segni della sofferenza vissuta sulla croce: la vena gonfia sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani e il costato scavato, sofferenza emblema di quella vissuta dall’intera umanità che però viene sublimata attraverso il velo. La trasparenza e setosità di questo, che sul viso sembra come dissolversi, ci riportano al rapporto tra la vita e la morte in cui la morte sembra una morte apparente in attesa della Resurrezione.
La perfezione del velo e l’incredibile aderenza al corpo delle pieghe hanno alimentato una leggenda che vuole che il velo sia il frutto di un processo di “marmorizzazione”, ovvero che sulla scultura sia stato adagiato un vero velo, fatto poi “marmorizzare” tramite un processo alchemico.
In realtà però un documento di acconto conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli e firmato dal principe riporterebbe le seguenti parole: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”.
Mettendo da parte le leggende, accanto al significato religioso della Resurrezione cui deve anelare tutta l’umanità come premio per le sofferenze terrene, emerge il significato esoterico in cui il velo funge da monito e ricorda all’iniziato che solo pochi hanno accesso alla conoscenza attraverso il Velo della Verità.
Non sapremo mai che ruolo abbia avuto Raimondo di Sangro nell’opera del Sanmartino ma un’altra incredibile coincidenza ci stupisce molto: il lavoro era stato commissionato inizialmente al Antonio Corradini che morì dopo averne realizzato solo il bozzetto, così il principe affidò la realizzazione del Cristo Velato a Sanmartino che quando lo iniziò aveva l’età di 33 anni.
LE MACCHINE ANATOMICHE
Scendendo nella cavea sotterranea bisogna avere i nervi saldi perché si fanno i conti con il delirio d’‘O’ principe riavulo’ con le sue due macchine anatomiche.
La macabra leggenda tramandata da Benedetto Croce e dal Marchese de Sade narrano che il principe fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna incinta iniettandogli nelle vene un liquido imbalsamante.
“In una stanza d’un altro Appartamento, che chiamano della Fenice (…) si veggono due Macchine Anatomiche, o per meglio dire, due scheletri d’un maschio, e d’una femmina, ne’ quali si osservano tutte le vene, e tutte le arterie de’ corpi umani, fatte per iniezione, che, per essere tutti intieri, e, per diligenza, con cui sono stati lavorati, si possono dire singolari in Europa. Oltre a tutte le visceri, e le parti interiori del corpo, colla apertura del cranio, si osservano tutt’i vasi sanguigni della testa; e coll’aprirsi la bocca, si veggono altresì i vasi sanguigni della lingua. Mirabile poi è la delicatezza, colla quale è stato lavorato il corpicciuolo d’un feto, che morì colla madre, la quale sta in piedi e si fa girare d’ogni intorno, per osservare tutte le parti. Vicino a detto bambino vi è la sua placenta aperta, dalla quale esce l’intestino ombelicale, che va ad unirsi al feto nel suo proprio luogo. Anche il cranio di questo piccolo corpicciuolo si apre, e se ne osservano i vasi sanguigni. Le dette due macchine, o sieno scheletri, sono opera del Signor D. Giuseppe Salerno Medico-Anatomico Palermitano”
Note di viaggio, Marchese de Sade
Un affascinante studio effettuato sugli scheletri delle due macchine nel 2015 “The Coronorary Tree of the Anatomical Machines of the Prince of Sansevero: The reality of legend” cerca di chiarire il mistero e restituire un volto umano al Principe.
Raimondo di Sangro, infatti, commissionò le due macchine al medico palermitano Giuseppe Salerno, uno dei medici più quotati del regno. Il risultato fu un’accurata riproduzione del sistema circolatorio di un uomo e di una donna incinta con il suo feto.
Lo studio ha combinato un esame visivo anatomico del cuore e le conoscenze del sistema circolatorio dei diversi secoli. La medicina del XVIII secolo conosceva i vasi sanguigni che erano già riproducibili a differenza del distretto arterioso coronarico di cui si conosceva molto poco. I ricercatori hanno così riscontrato diverse anomalie nel sistema cardiovascolare della donna incompatibili con la vita dell’età adulta e la gravidanza; nell’uomo invece è presente un’ anomalia congenita compatibile con la vita. La tecnica dell’iniezione di sostanze per studiare i vasi sanguigni rimase sconosciuta fino al XVIX secolo ma secondo i ricercatori non si può escludere che il Principe di Sangro insieme a Salerno abbiano iniettano in alcuni distretti, cera liquida o altre sostanze, così da riprodurre il sistema vascolare con precisione includendo dettagli tridimensionali.
O’ principe riavulo’ fu quindi talmente abile da riprodurre con fil di ferro, stoppa, cera d’api e pigmenti colorati manichini capaci di sorprendere persino i medici ma i misteri ancora senza risposta meriterebbero un esame di laboratorio approfondito di entrambe le macchine.
Aspettando di sapere la verità il fatto per noi più affascinante è che queste macchine, ottenute con uno straordinario e laborioso processo alchemico, fossero state collocate in una stanza detta “della Fenice” che ci riporta al grande fil rouge di tutta la vita del principe: il tema dell’immortalità e della conoscenza.
Per sapere di più sui misteri del principe:
“Raimondo de’ Sangro”… minuta per una relazione di Walter Scudero