Vedi Napoli e poi…Purgatorio
Girone I. Chiesa “d’e cape e morte“
L’ inquietante detto ha origine dalla frase “Siehe Neapel und stirb” scritta da Goethe nel suo Viaggio in Italia dopo aver visitato la città. Lo scrittore rimase così folgorato dall’ebbrezza di Napoli, dal suo vivere alla giornata, dall’arte dell’arrangiarsi, dal pensare che, dopo avervi soggiornato, il Johann di prima, il tedesco, sarebbe morto.
[…] “Non si potrebbe fare colpa ai Napoletani, se nessuno di essi vuole allontanarsi dalla sua città, né ai suoi poeti se parlano in modo iperbolico della felicità, che qui si gode, quand’anche sorgessero in vicinanza non uno, ma due Vesuvi.”[…]“Mentre a Roma si può studiare volentieri, qui non voglio pensare ad altro che a vivere; vi si dimentica tutto il mondo, e sé stesso, e mi produce una singolare impressione, il trovarmi attorniato da persone, le quali non pensano ad altro che a godersi la vita” […]”Se io non fossi spinto dall’indole tedesca, e dal desiderio di apprendere piuttosto e di operare, anziché di godere, io mi tratterrei alcun tempo ancora in questo suolo, dal vivere facile e piacevole, e cercherei di trarne profitto”
da Viaggio in Italia – Johann Wolfgang von Goethe
La strana coincidenza è che questa città ha da secoli uno stretto legame con la morte e non puoi scorgerne il vero volto se non scopri il doppio filo misterioso che lega, in questi luoghi, i vivi e i morti.
Superstizioso o no, ti accompagneremo in questo viaggio nell’aldilà con la promessa che tornerai più vivo che mai e con singolari storie da raccontare.
La nostra prima tappa sarà la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, La Chiesa delle anime pezzentelle, conosciuta al popolo partenopeo come la chiesa “ d’e cape e morte“.
Siamo nel cuore del centro storico di Napoli, in via dei Tribunali e ci accorgiamo di essere arrivati a destinazione quando ci imbattiamo nei lucidi teschi di bronzo che sormontano i paracarri ai lati delle scalinate di accesso. I teschi sono usurati dalle intemperie e dalle superstizioni, si dice che porti fortuna accarezzarli e che per uno studente in cerca di aiuto con la scuola sia proprio indispensabile infilare la proprie corna nelle orbite del teschio.
Appena varcata la soglia siamo sopraffatti dalla bellezza di questa piccola chiesa barocca, capace di custodire capolavori pittorici come La Madonna delle anime purganti di Massimo Stanzione, ma al contempo inquietati dal Teschio alato di Dionisio Lazzari che ci avverte di essere in un luogo tutt’altro che ordinario.
Passando tra i banchi pieni di santini e luci di candele fioche siamo pronti per entrare nell’ipogeo, praticamente una seconda chiesa sottostante, spoglia, umida e buia.
Scendendo le scale sentiamo un brivido di gelo che ci passa lungo la schiena quando vediamo sul pavimento la sagoma di una tomba con sopra uno scarno vaso di fiori, circondata da spesse catene agganciate a quattro ceri liturgici elettrici.
Siamo circondati da volte e nicchie, le stesse che vedevamo al piano superiore ma qui le pareti sono scrostate, i dipinti sono ombre senza colore, i marmi vengono sostituiti dalle semplici mattonelle azzurre che potremmo trovare in un bagno o in una macelleria e soprattutto quelle che vediamo non sono sculture ma ossa, teschi, adornati con fiocchi, merletti, rosari, ex voto, immersi in decine di fotografie a colori di persone e di santi.
Per capire il luogo bizzarro in cui ci troviamo bisogna fare un salto nel passato agli inizi del ‘600 quando la Chiesa incoraggiava le preghiere, le messe in suffragio e tutte le pratiche legate alla cura delle anime dei defunti per aiutarle ad espiare le pene terrene e favorirne l’ascesa in Paradiso.
Il culto delle anime defunte a Napoli assunse però un aspetto del tutto originale in quanto oggetto del rituale diventarono le anime anonime, i corpi che venivano seppelliti senza nome nelle fosse comuni, da qui il nome di “anime pezzentelle” (Dal latino: peto – chiedo), anime che chiedono assistenza e protezione in cambio di grazie alle persone in vita.
Dando un spiegazione a questi macabri rituali veniamo colti da un senso di profonda pietà per questi teschi cercando di immaginarci le storie che si celano dietro ognuna di queste anime e dei relativi protettori.
Di queste storie una è giunta fino a noi, quella della principessa Lucia, il cui cranio è adagiato su un cuscino, adornato da un velo da sposa e da una preziosa corona.
Una leggenda narra che Lucia D’Amore, figlia di Domenico, principe di Ruffano, promessa in sposa al marchese Giacomo Santomago, non volesse convolare a nozze e scelse di suicidarsi, un’altra che morì di dolore, un’altra che tentò una fuga tragica, che era malata di tisi o che fu vittima di un omicidio mentre avanzava verso l’altare. Un’altra versione ancora che amasse il marchese ma fosse annegata durante il viaggio di nozze. Quello che è certo è che Lucia non riuscì a sopravvivere al matrimonio e che il padre, devoto alla chiesa del Purgatorio, decise di seppellirla qui. Da quel giorno tutte le donne che desiderano sposarsi chiedono a Lucia la grazia, dandole in cambio preghiere e protezione.
Di fronte al suo reliquiario percepiamo una potente energia, non sappiamo se si tratti di una semplice suggestione ma vedere tutti i quei bigliettini, le foto a colori di infiniti volti, i ceri, gli ex voto e i fiori che quasi l’abbracciano ci confermano che questa antica donna ha un legame indissolubile con il popolo napoletano.
Prova ne è che questo antico culto, sopravvisse a guerre e carestie e si diffuse al punto che nel 1969 il Cardinale Ursi lo vietò accusando il popolo di preferire chiedere intercessioni a resti anonimi, piuttosto che ai santi. Ancora oggi questo intenso rapporto tra le anime e i vivi non si ferma, attraverso le grate che dividono l’ipogeo dalla strada di notte passano ancora invocazioni e lamenti e di giorno preghiere, fiori e candele accese riscaldano questi teschi sostenendoli nella loro lotta per la salvezza.
Continua il tuo viaggio su: https://www.purgatorioadarco.it/
Curiosi della foto della chiesa velata: Napoli Velata – Oreste Pipolo