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Coronaparanoia

Ai tempi del coronavirus, chiusa tra le quattro mura di casa, il cervello frulla
a velocità supersonica tra i pensieri più disparati.
Lo spazio fisico intorno a noi e il tempo sembrano però essersi finalmente fermati.
La frenesia distorta a cui il lavoro mi aveva abituata per produrre il profitto per qualcun altro
e i piccoli introiti per i miei piccoli lussi (da piccolo borghese di provincia), nel giro
di 2 settimane di agonia e restrizioni si è arrestata.
La follia è che questa carcerazione forzata non ha un sapore cosi amaro quando si sostituisce al
labirinto per topi in cui normalmente girano quelli come me, nati per essere integrati nel sistema
che da stagisti li trasforma in talentuosi impiegati in cerca di carriera.
Il proibizionismo dello stato e la cassa integrazione ci sta tirando nuovamente fuori la linfa
vitale, la stessa magnetica energia che ho visto nei paesi poveri governati da una dittatura
e privi di consumismo. Ci riscopriamo fatti di mani e di sogni e soprattutto abbiamo tutto il
tempo per pensare criticamente.
Proprio pensando a quei paesi vorrei raccontarvi quello per cui ringrazio di averli visitati
anche un po’ per esorcizzare la paura di un futuro meno privilegiato.
Già perché questo lockdown potrebbe cambiare qualcosa anche per noi amanti viaggiatori
considerando che il virus che oggi ci chiuse a casa ha viaggiato in aereo e ha colpito duramente
tutte le economie occidentali, le più accanite nell’intensificare rapporti commerciali ma anche
le più fameliche di turismo.
Prima di aprire un nuovo post con il diario dei ricordi voglio lasciarvi con la provocatoria
immagine di apertura sperando di non ritrovarci a fare i reporter in tempo di guerra con guanti
e maschera a gas.

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